Descrizione
Agota Kristof, Due pezzi teatrali, Prima traduzione italiana, Lamantica 2017 - FUORI COMMMERCIO
Con la distanza, espressione di estraneità, la «voce» di Kristof diventa dunque scrittura teatrale, ma di un teatro in cui la percezione in termini spaziali è secondaria. E così le costrizioni proprie del genere sono ridotte a un grado zero, perché anche la ricezione del messaggio trasmesso vuole rinviare maggiormente all’immaginazione dello spettatore, cui si richiede un processo di astrazione e di interpretazione simbolica: tempo vissuto e tempo narrato sono entrambi oggetto di una profonda destrutturazione in quanto il tempo spazializzato ha perso di significato. Questo teatro vive così in stretta relazione con le problematiche dell’autrice in quanto fatto sociale, ma ricorre spesso anche alla libertà inventiva della leggenda, del mito e del ritorno ciclico della Storia.
(Dall’introduzione di Riccardo Benedettini)
[…]
IL SORDO Forse ti fa schifo dormire nel mio stesso letto? È questo, eh? Ti faccio schifo. Disgusto il signore. Sono troppo sporco e disgustoso per il signore. Be’, il signore mi permetta di dirgli che è sporco e disgustoso quanto me, se non di più! A rivederci! Addio, piuttosto!
IL CIECO No, non è questo. Non andartene, Drago! Torna qui! Hai ragione. Io sono peggio, sono più sporco, più disgustoso di te.
IL SORDO No, sei più pulito. Lo so, sono diventato ripugnante. Ero curato, intelligente, parlavo bene, scrivevo bene. Ero giornalista. È stata un’esplosione, una fottuta bomba in un fottuto paese che mi ha reso sordo, mezzo scemo e completamente alcolizzato.
IL CIECO In che paese è stato?
IL SORDO Ho perso la memoria, non me lo ricordo più, e me ne frego. Era lontano da qui, è successo tanto tempo fa, ho dimenticato tutto, tutto! Sono contento di essere sordo, sai, così non sento i brutti rumori. Il guaio è che nella mia testa ancora li sento a volte. Le grida, i pianti, le esplosioni… Li sento.
IL CIECO E io, a volte, vedo.
[…]
(Estratto da A. K., Due pezzi teatrali. “L’espiazione”)
[…]
SALVATORE Ma cosa sta succedendo qui?
DOTTORESSA Niente di speciale. Quasi tutti sono morti. Di suicidio.
SALVATORE Quasi tutti? Ma… per quale ragione?
DOTTORESSA Non si sa. Senza ragione. È un’epidemia.
SALVATORE Un’epidemia… di suicidi?
DOTTORESSA Sì. Microbi, virus del suicidio. Epidemia.
La Dottoressa prende due bicchieri, e ne offre uno al Salvatore.
DOTTORESSA Non lo vuole un goccio?
SALVATORE Cos’è che sta bevendo?
DOTTORESSA Un vinaccio rosso. Locale. Ho la cantina piena. Ne vuole? Non è molto buono.
SALVATORE Non ha nient’altro? Un… alcolico forte?
DOTTORESSA Ih-ih! Non c’è nient’altro. O questo o niente.
Il Salvatore prende un bicchiere e beve con una smorfia di disgusto.
SALVATORE E quali autorità bisogna avvisare?
DOTTORESSA La commissione dei suicidi. Ogni volta che qualcuno si salva, s’interessano.
SALVATORE E agli altri non s’interessano?
DOTTORESSA Sì, sì. Li esaminano tutti, per vedere se sono morti davvero. Ma quelli che li interessano realmente, sono i salvati.
SALVATORE Perché?
DOTTORESSA Per fare qualche domanda. Con i morti non possono.
[…]
(Estratto da A. K., Due pezzi teatrali. “L’epidemia”)
Agota Kristof (Csiksvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27 luglio 2011) nasce in Ungheria, paese da cui fugge nel novembre 1956 all’indomani della rivoluzione. Assieme al marito e alla figlia di pochi mesi, Kristof trova rifugio nella Svizzera francese, dove vivrà fino alla morte. Con fatica apprende quella che diventerà anche la sua lingua letteraria. È autrice di romanzi, novelle, poesie e opere teatrali.
Foto di Mario Martinazzi